Le Olimpiadi di classe V: un racconto.
- Set
- 07
Questi giochi vengono allestiti annualmente presso una scuola Steiner-Waldorf e vi partecipano alunni delle classi V di diverse scuole, i quali hanno già preso dimestichezza con le discipline atletiche richieste durante le lezioni di ginnastica.
La manifestazione si svolge in una o due giornate e non ha nessuna connotazione competitiva; non si tratta assolutamente di una gara, bensì di una opportunità per i ragazzi per vivere attraverso le cinque discipline dei giochi dell’antica Grecia, una sana e corretta relazione con le forze dello spazio in cui vivono e con gli altri esseri umani con cui trascorrono la loro vita. I ragazzi di classi diverse, vengono divisi tra le varie “poleis”, ciascuna delle quali è coordinata da un’insegnante, qui incontrano coetanei non conosciuti con i quali condividono, le fatiche e le gioie della manifestazione.
Ad ogni ragazzo viene richiesta una buona dose di autonomia: deve organizzarsi per il pernottamento fuori casa, dividere i pasti e i luoghi comuni, rispettando turni ed orari; inoltre deve relazionarsi con i nuovi compagni e far riferimento non ai propri insegnati, ma ad adulti estranei.
Per puro caso mi è capitato di esserci, e la mia missione in quella giornata era di essere invisibile.
Mi ha sorpreso l’intensità di questo momento che vuole essere la manifestazione del grande equilibrio di ogni bambino che sta per diventare ragazzo.
In auto verso la base scout di Monza ero con mio figlio e alcune sue compagne di scuola: arrivati all’appuntamento l’agitazione che si sentiva nei ragazzi ha trovato l’accoglienza della nostra maestra Samantha.
Abbiamo lasciato che fosse lei a prendere per mano ognuno di loro in questa avventura e con altre mamme abbiamo preferito farci da parte, allontanandoci per un caffè e qualche parola da scambiare.
Più tardi sono tornata verso il parco e mi sono avvicinata al campo dove tutto era già cominciato: ho sentito sulla pelle il caldo del Sole, con le orecchie il frinire delle cicale e dei canti, con il naso l’odore dell’erba secca: difficile non sentirsi in una giornata assolata dell’antica Grecia, a Olimpia.
E poi ad un tratto, a rompere il silenzio che si sente quando i momenti sono preziosi, il rumore di una fiamma: l’ho cercata seguendo il crepitio e guardandomi intorno ecco il fuoco del braciere che i maestri di ginnastica avevano acceso poco prima per dare il via a questi giochi.
In quel momento i ragazzi di V classe, con le loro tuniche bianche, ai miei occhi erano proprio come i ragazzi di duemila anni fa, quando da atleti ben allenati si cimentavano in prove fisiche e di carattere, dedicandole al più importante dei loro dei.
Qualcuno con fare più spavaldo, qualcun altro più timoroso, qualcuno che lamentava di non voler essere lì: ma ognuno di loro in un momento di pienezza personale completamente inconsapevole.
Ogni classe ha offerto il suo saluto agli dei: la semplicità di canti, gesti, marce rendeva ancora più evidente ai miei occhi il valore quasi sacrale che la stessa cerimonia aveva avuto nel passato, tanto da portare la pace anche in tempi di guerra.
E proprio come allora scudi e lance sono stati lasciati sull’erba, a testimoniare che nulla è più importante di questo momento in cui gli uomini si esprimono attraverso il gesto dei corpi per rendere omaggio agli dei.
I ragazzi delle scuole presenti sono stati mescolati fra loro per formare le polis e i maestri di classe, divenuti capi poleis, si sono erti in piedi alla loro guida con gli stendardi, sotto lo sguardo vigile dei maestri di ginnastica.
Allo stesso modo anche noi genitori ci siamo mescolati per preparare il ristoro: gesti così normali che siamo abituati a fare all’interno delle nostre scuole sono stati condivisi con persone che non conoscevamo, ma ci hanno insegnato ad allargare lo sguardo.
Ci siamo accorti che il piccolo mondo delle nostre singole realtà rappresenta una grande comunità e prende una forma, e anche una forza, che va ben oltre quello che ogni singola scuola rappresenta.
Da genitori abbiamo sentito di avere molte cose in comune, e soprattutto che non siamo soli nelle nostre scelte e fatiche quotidiane. E questo rinvigorisce.
La maratona mi ha fatto vedere che tutti i compagni dovevano essere aspettati, la staffetta mi ha fatto sentire gli animi accesi dal tifo di ogni polis, e tutti abbiamo trovato una pausa in un veloce pasto e refrigerio nelle acque fresche di una generosa fontana.
E di nuovo la lotta greco-romana, poi il lancio del giavellotto e del disco (presentati prima agli dei, quasi a giustificare il gesto del gettarli via) e il salto in lungo sono stati i momenti finali che ci hanno portato alla chiusura delle Olimpiadi.
Vi lascio un ultimo pensiero per me denso di significato.
Ogni ragazzo durante la giornata è stato guardato dal capo della propria polis mentre faceva del proprio meglio. Il saluto finale, prima in cerchio tutti insieme e poi ad uno ad uno, ha sottolineato questo sguardo attento su ognuno di loro: ogni maestro ha cercato con i suoi occhi i loro occhi mentre metteva al collo di ognuno la medaglia conquistata.
In onore degli dei, per la pace fra gli uomini.
una mamma di classe V